Le crisi, le speranze e il cambiamento /1

Mentre l'economia mondiale va a rotoli e lo spettro dell’incubo di una debacle mondiale incombe minaccioso, nonostante la situazione semplicemente terribile,qualcosa nel mondo, in posti diversi dall'Italia, cambia. Nessuno sa come si uscirà dalla crisi economica che si sta attraversando ma intanto, se può rappresentare un fatto positivo, altrove il nuovo inizia a prevalere sul vecchio e la speranza per un futuro non migliore, ma normale, comincia a concretizzarsi mentre in Italia tra la criminalità, la monnezza che non è affatto sparita e la crisi delle famiglie che non arrivano neanche alla terza settimana siamo ancora sottomessi ad una classe politica stravecchia, ottusa e indegna e dipendiamo ancora dalle loro decisioni che di certo non sono decisioni che puntano al rinnovamento e al progresso.
A molti governi attuali, e in particolare ai governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi venti anni devastandola, si applicherebbero correttamente le parole scritte da Kierkegaard: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.
I grandi valori, i progetti di largo respiro non interessano. Governi, mass media e la maggioranza della nostra società insistono a chiedersi “che cosa mangeremo”, anziché “dove stiamo andando”. E così si cade nel baratro: le Istituzioni vengono sfasciate dal politicante di turno, le decisioni vengono prese dal condannato o dai condannati che occupano gli scranni del Parlamento della Repubblica Italiana. Uomini senza un minimo di senno hanno sfasciato una Repubblica mentre ognuno di noi ha continuato a coltivare il proprio orticello scoraggiato e preferendo il cinismo al bene comune. Dice Jean Goss, uno dei maggiori testimoni della non-violenza attiva scomparso nel 1991: “Se il mondo va male, se il vostro Paese ha preso una piega cattiva, non è una fatalità. E’ perché ci sono degli uomini che lo hanno voluto e degli altri che li hanno lasciati fare. Abbiamo i capi che ci meritiamo”.
Ma non bisogna scoraggiarsi affinché si possa costruire il cambiamento: eppure l’Italia lo ha fatto, non ha avuto la capacità di lottare e di dotarsi dei mezzi idonei a far prevalere il buono sul cattivo, l’onesto sull’illecito e la casta politica d’Italia ha ravvisato in questa debolezza la propria forza.
La nostra classe politica si è mangiata il Paese e continua a farci perdere molte occasioni di sviluppo che la stessa integrazione europea avrebbe potuto assicurarci se non fossimo caduti così in basso.
In questa prospettiva già di per sé sconcertante i nuovi scenari che si delineano non sono che negativi sebbene invertendo la rotta, ovvero creando le regole per un nuovo ordine favorito da meccanismi decisionali concreti e cambiando le regole del gioco attuale lasciando spazio ad una nuova classe dirigente, potrebbe auspicarsi un futuro per lo meno normale.
A ciò si aggiungono anche i problemi globali. Economia, terrorismo, mutamenti climatici: servirebbe una rivoluzione per affrontare i problemi della nostra epoca. Problemi familiari ma sconcertanti –dice Ulrich Beck, studioso tedesco esperto di globalizzazione e teorico del cosmopolitismo-. E aggiunge: “La risposta ai problemi globali, che si impongono minacciosi e che resistono alle soluzioni offerte dai singoli Stati, impone alla politica di fare un enorme balzo in avanti dal sistema nazionale a quello cosmopolita. La politica deve riacquistare credibilità per offrire soluzioni reali”.

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